La cura medica passa anche per la tecnologia grazie ai chip contro il morbo di Parkinson
La cura medica passa anche per la tecnologia grazie ai chip contro il morbo di Parkinson

Ultimamente si è fatto un gran parlare dei microchip che vengono impiantati direttamente nel cervello umano, soprattutto grazie al progetto Neuralink di Elon Musk. Questa storia ha davvero acceso il dibattito, tra chi vede questa tecnologia come una sorta di salvezza e chi invece teme i suoi possibili risvolti. Ma questo non è certo un argomento nuovo. I microchip nel cervello esistono già da un bel po’ di tempo, anche se finora non avevano attirato l’attenzione come adesso.

 

Un microchip contro il morbo di Parkinson

Un esempio concreto di utilizzo di questi microchip è nel trattamento del morbo di Parkinson. Chi non conosce questa malattia, con i suoi tremori e le difficoltà motorie? Gabriele Selmi, un pensionato di 66 anni di Castelfranco Emilia, ha deciso di affrontare la sua battaglia contro il Parkinson in modo decisamente innovativo, accettando di farsi impiantare uno di questi microchip all’avanguardia nel suo cervello. Dopo qualche tempo dall’intervento, ha raccontato la sua esperienza a un giornalista de Il Messaggero.

Selmi è piuttosto contento dei risultati ottenuti con questo microchip. Grazie a lui, ha potuto tornare a fare cose che sembravano ormai un ricordo lontano, come pedalare sulla sua bicicletta. Prima sembrava impossibile, con quei tremori che non lo lasciavano in pace, ma adesso è lì, pronto a ripartire. Questo microchip fa davvero miracoli: controlla i movimenti nel cervello e registra tutto, permettendo ai medici di personalizzare la terapia in base alle sue esigenze.

 

La lotta contro le malattie passa anche dalla tecnologia

L’intervento non è stato niente di troppo complicato: un elettrodo sottile infilato nel cervello, qualche regolazione e il gioco è fatto. Selmi ha anche un mini-pacemaker che gli tiene compagnia sotto la clavicola. Ha scherzato dicendo che adesso deve caricare lui stesso, oltre al suo smartphone. Ma va bene così, perché questo dispositivo dura due giorni con una ricarica veloce. Insomma, grazie a questo microchip, i medici hanno un nuovo alleato nella lotta contro il Parkinson, con la possibilità di adattare la terapia in tempo reale e ottenere risultati migliori per i pazienti.

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