Nel 2016, Microsoft aveva presentato al mondo un progetto piuttosto futuristico chiamato Project Natick. L’idea era semplice quanto ambiziosa: capire se fosse possibile installare e gestire data center sott’acqua, negli oceani. Sembrava un’idea uscita da un film di fantascienza, ma Microsoft l’ha portata avanti con serietà, sperando che potesse rivoluzionare il modo in cui gestiamo i dati.
Dopo diversi anni di test, però, Microsoft ha deciso di abbandonare questa strada. Nel 2018, avevano messo in acqua il loro data center Northern Isles con 864 server al largo della costa della Scozia. Era un esperimento che aveva fatto parlare di sé, ma alla fine, i risultati non sono stati quelli sperati.
Il progetto Natick con i suoi pro e contro
Uno dei punti di forza del progetto Natick era che i server sottomarini registravano un tasso di guasti molto inferiore rispetto ai data center terrestri. Si parlava di un ottavo dei guasti, un dato davvero interessante. Inoltre, la velocità di implementazione era un altro vantaggio notevole: un data center sottomarino poteva essere installato e messo in funzione in appena 90 giorni, contro i due anni necessari per costruire un data center terrestre.
Nonostante questi vantaggi teorici, Microsoft ha deciso di chiudere il progetto. Noelle Walsh, che guida la divisione Cloud Operations + Innovation di Microsoft, ha dichiarato che l’azienda “non sta costruendo data center sottomarini in nessuna parte del mondo”. È una dichiarazione che ha messo la parola fine su un esperimento che aveva acceso molte speranze.
La decisione di Microsoft riflette probabilmente una serie di sfide tecniche e logistiche che si sono rivelate insormontabili. Anche se i server sottomarini avevano meno guasti, altri problemi potrebbero aver reso l’operazione meno conveniente o praticabile rispetto ai data center tradizionali. E poi c’è sempre il fattore umano: lavorare sott’acqua aggiunge un livello di complessità che non tutti sono pronti ad affrontare.
Insomma, l’idea dei data center sottomarini era affascinante e ha sicuramente contribuito a spingere i limiti dell’innovazione tecnologica. Anche se Microsoft ha deciso di non proseguire su questa strada, l’esperimento non è stato vano. Ha permesso di esplorare nuove possibilità e di imparare lezioni preziose che potranno essere applicate in altri contesti.
Un futuro ancora da scrivere
Il futuro dei data center sottomarini potrebbe non essere del tutto chiuso. Altre aziende potrebbero riprendere l’idea e cercare di risolvere i problemi che Microsoft ha incontrato. Per ora, però, Microsoft ha scelto di concentrarsi su altre sfide tecnologiche, lasciando da parte le profondità degli oceani. Chissà, magari un giorno ci saranno nuove tecnologie che renderanno questa visione una realtà praticabile.