Un'alga che guida uno scooter? È possibile Recentemente, la rivista Small ha pubblicato uno studio affascinante condotto da Naoto Shimizu, che ha presentato il primo scooter guidato interamente da alghe. Il filmato che documenta questa scoperta è davvero sorprendente. L’alga utilizzata in questo studio è una particolare specie. È denominata Chlamydomonas reinhardtii. Si tratta di un’alga verde unicellulare dotata di due lunghi flagelli. Quest’ultimi le permettono di nuotare a una velocità di 100 micrometri al secondo.

Un dato notevole considerando che il corpo dell’alga misura solo 10micrometri. Haruka Oda e il suo team hanno progettato due micromacchine alimentate da C. reinhardtii. Quest’ultime sono costituite da piccoli cestelli che intrappolano le alghe in una sorta di imbracatura. Il cestello trattiene la cellula, permettendole però di muovere liberamente i suoi flagelli.

Ecco come un’alga può guidare uno scooter

I cestelli sono collegati tra loro, consentendo la cooperazione inconsapevole di diversi individui. Tale passaggio è essenziale per generare una forza propulsiva sufficiente a muovere un meccanismo più grande di una singola cellula. Le due micromacchine realizzate sono denominate “scooter” e “rotatore“. In quest’ultimo, quattro alghe sono posizionate in cestelli all’estremità di quattro bracci, con il centro fissato al suolo. Suddetto design permette una rotazione stabile grazie alle alghe che muovono i loro flagelli.

Lo scooter, invece, rappresenta un’innovazione più interessante. In tale configurazione, due alghe sono orientate nella stessa direzione e spingono il piccolo veicolo in avanti, idealmente in linea retta. In tale scenario, il comportamento dello scooter è stato piuttosto imprevedibile. Le alghe lo hanno spinto a sterzare, ruotare e persino cadere. Suddetto comportamento è probabilmente dovuto alla mancanza di vincoli rispetto al rotatore e alle forze irregolari generate dai due “piloti“.

Il professor Shoji Takeuchi della Graduate School of Information Science and Technology presso l’Università di Tokyo, autore senior dello studio, ha dichiarato in un comunicato stampa che tali metodi hanno il potenziale per evolversi. In futuro potrebbero trasformarsi in una tecnologia utilizzabile per il monitoraggio negli ambienti acquatici e per il trasporto di sostanze tramite microrganismi.

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