Le batterie con celle LFP (litio-ferro-fosfato) stanno superando le altre tipologie nel settore automobilistico per più motivi. Queste sono preferite da molte case per i loro costi inferiori e per la loro grande robustezza e per la sicurezza. Grazie agli studi continui e alle sperimentazioni, inoltre, la differenza di prestazioni rispetto alle celle NMC (nichel-manganese-cobalto) si sta riducendo. Ciò ha portato a un crescente interesse da parte delle aziende, ma ha anche sollevato preoccupazioni sulla capacità della catena di fornitura di sostenere tale domanda.
In Cina, queste batterie dominano il mercato da tempo. Ora, anche le case automobilistiche europee e americane si stanno orientando verso questa tecnologia. Ci sono progressi eccellenti nel campo LFP eppure non ci si aspettava una così grande richiesta. La catena di fornitura potrebbe, a meno che non si trovi al più presto una soluzione, non essere pronta per sostenere l’aumento della domanda.
Crescita domanda ma poco materiale per le batterie LFP
La società Benchmark ha segnalato che l‘81% della roccia fosfatica, un componente chiave delle LFP, proviene da soli sei Paesi, con Cina e Marocco in testa. Anche se il minerale viene estratto, la sua lavorazione per ottenere acido fosforico purificato (PPA) è limitata. Solo una piccola parte della roccia fosfatica estratta è adatta per la produzione di batterie. Inoltre, l’acido fosforico purificato è utilizzato in diversi settori industriali, non solo in questo.
Attualmente, solo il 5% di questo acido è destinato alle batterie, ma si prevede che la domanda crescerà fino al 24% entro il 2030. Se la produzione non aumenterà in modo proporzionale, potrebbero verificarsi squilibri di mercato. Questo potrebbe portare a un aumento dei prezzi, compromettendo il vantaggio economico della tecnologia LFP. Una soluzione interessante arriva dalla Cina. Nel Paese si propone di recuperare il fosforo dalle acque reflue. Il fosforo è sempre più presente nelle acque reflue delle grandi città a causa dell’uso crescente di fosfati negli alimenti. L’idea è di trattare queste acque per recuperare tale componente, utilizzabile poi nella produzione di batterie. C’è però un problema. Per realizzare questa soluzione servono impianti di trattamento specifici, che al momento sono ancora in fase di sviluppo.