Una situazione davvero spiacevole, ancor di più per come è stata ratificata: 15 lavoratori sono stati infatti licenziati ufficialmente dalla multinazionale Yokohama. La storica fabbrica di gomme un tempo Pirelli e poi Trelleborg a Tivoli ha deciso di lasciare fuori alcuni dei suoi dipendenti e tutto mediante un semplice messaggio con la famosa app di messaggistica WhatsApp.
Sono proprio le modalità del licenziamento che hanno lasciato tanto sgomento soprattutto tra i lavoratori stessi, difesi dal sindacato. A denunciare infatti la faccenda è stato il segretario generale Roberto Terziani, per conto della Filt Cgil Rieti Roma Est.
Lavoratori Yokohama licenziati tramite WhatsApp: la denuncia del sindacato
A prendere in mano la situazione è stato dunque Terziani che ha riferito quanto segue esordendo con un laconico: “Non si possono licenziare 15 lavoratori via WhatsApp“.
“I lavoratori della cooperativa sono stati sospesi dall’attività lavorativa e, di conseguenza, dalla retribuzione per un periodo non definito, con pesanti ricadute sul sostentamento delle loro famiglie. Questa situazione sta generando una forte preoccupazione per le modalità e il contenuto delle decisioni tra tutti i lavoratori impiegati in appalto presso il sito produttivo di Yokohama a Tivoli. Inoltre, si è venuti a conoscenza di nuove assunzioni all’interno del consorzio e/o delle cooperative che gestiscono gli appalti, per svolgere presumibilmente le mansioni non più effettuate dai lavoratori sospesi. Questo potenziale anomalo “turnover” potrebbe portare alla sostituzione dei lavoratori sospesi con altri assunti con condizioni contrattuali meno favorevoli, meno diritti e salari inferiori”.
Terziani ha inoltre confermato che verrà chiesta un’interrogazione parlamentare con un’apertura di un tavolo di crisi immediato. L’obiettivo è infatti cancellare i licenziamenti, soprattutto in virtù delle leggi che esistono in Italia e che vanno a tutela dei lavoratori. Stando alle regole infatti questi andrebbero avvisati in tempi e modalità utili e non con un semplice messaggio. Come riferisce Terziani, “si tratta di un sopruso inaccettabile che in quanto tale va stigmatizzato”.