Gli Stati africani hanno partecipato alla COP16 con una posizione chiara e determinata. Il loro obiettivo era chiedere un protocollo vincolante che obblighi tutti i Paesi ad adottare misure concrete per affrontare la siccità. Suddette nazioni vivono quotidianamente le conseguenze di un territorio che si desertifica. Con risultati devastanti sull’economia. E soprattutto sulla qualità della vita. Eppure, la resistenza dell’Occidente, in particolare di Stati Uniti e Unione Europea, a impegnarsi con obblighi stringenti ha portato a un inevitabile stallo.
Anche considerando la delusione generale, un risultato positivo è stato raggiunto con la creazione del Riyadh Global Drought Resilience Partnership
. Ovvero un fondo da 12 miliardi di dollari destinato a migliorare la resilienza di 80 Paesi vulnerabili alla siccità. Anche se il fondo rappresenta un passo avanti, è evidente che i finanziamenti, per quanto importanti, non bastano. Quest’ultimi devono essere accompagnati da una strategia globale che includa obiettivi misurabili e responsabilità condivise.Mentre i leader mondiali discutono, la desertificazione avanza. Sottraendo ogni anno sezioni di terreno fertile. La COP16 ha evidenziato, ancora una volta, il divario tra chi subisce gli effetti immediati della crisi climatica e chi continua a rimandare scelte difficili.
Il futuro di milioni di persone dipende dalla capacità della comunità internazionale di superare le divisioni. Inoltre, sarà necessario agire con urgenza. Se la COP17 vuole essere ricordata come il punto di svolta, sarà necessario un cambio di paradigma. Con la crisi climatica che avanza non è possibile rinviare ancora, è necessario intervenire il prima possibile.