Il Congo detiene il controllo su vasti giacimenti di minerali. Tra cui tantalio, stagno e soprattutto cobalto. Ovvero tutti elementi indispensabili per produrre dispositivi elettrici. L’estrazione di tali risorse è spesso legata a condizioni di lavoro disumane. Accompagnate da controllo armato delle miniere e finanziamento di conflitti armati. Il tutto mentre le popolazioni locali subiscono violenze ed abusi.
Apple e altre aziende abbiano implementato sistemi di tracciabilità e certificazione per garantire un approvvigionamento etico. Eppure, le accuse mosse dalla RDC sollevano interrogativi sulla reale efficacia di suddette iniziative. Secondo il governo del Congo, molte certificazioni si rivelano strumenti di facciata. Risultando, dunque, incapaci di eliminare le irregolarità
.Quest’ultimo non rappresenta un caso isolato. A tal proposito, sono emersi diversi report di organizzazioni non governative. Quest’ultimi hanno denunciato il coinvolgimento indiretto di multinazionali nei conflitti per il commercio di minerali. La vera sfida risiede nella complessità della catena di approvvigionamento. I minerali estratti in zone di conflitto spesso passano attraverso numerosi intermediari, rendendo difficile individuare la loro origine precisa.
La denuncia della RDC contro Apple potrebbe rappresentare un punto di svolta. Se le autorità francesi e belghe daranno seguito alle accuse, le implicazioni legali potrebbero estendersi oltre lo specifico caso. Potrebbero ridefinire le responsabilità delle multinazionali. Ciò nei confronti del mancato rispetto dei diritti umani. Tale vicenda sottolinea l’urgenza di un cambiamento strutturale. Le aziende tecnologiche, così come governi ed organismi internazionali, devono collaborare. Solo in questo modo sarà possibile creare sistemi di monitoraggio più trasparenti ed efficaci.