Pegasus è uno dei software di sorveglianza più sofisticati. È stato ideato per supportare governi nella lotta contro criminalità e terrorismo. Con il tempo ha dimostrato di essere, però, pericoloso. Dopo essere stato installato è in grado di accedere a messaggi, registrare chiamate, attivare il microfono ed anche raccogliere dati di localizzazione. Inoltre, la sua evoluzione ha reso il software ancora più pericoloso. Oggi può infettare un dispositivo sfruttando vulnerabilità “zero-day“, falle di sicurezza sconosciute. Il tutto senza richiedere alcuna interazione da parte della vittima.
La vera contesa ha avuto inizio quando si è scoperto che Pegasus veniva utilizzato per scopi illegittimi. Il sistema era stato usato, infatti, anche per sorvegliare
determinati individui. Ovvero giornalisti, attivisti e oppositori politici. Tale abuso ha sollevato interrogativi etici sulla responsabilità delle aziende che sviluppano strumenti di sorveglianza. Oltre che sul controllo della loro distribuzione. NSO Group si è difesa affermando di vendere il software esclusivamente a governi. Eppure, l’uso scorretto documentato ha dimostrato il contrario.La vittoria legale di WhatsApp non riguarda solo il caso specifico. Il tribunale ha ordinato a NSO Group di consegnare il codice sorgente di Pegasus. Un passo che potrebbe facilitare il contrasto futuro a questo tipo di tecnologie. La sentenza rappresenta un importante esempio. La sorveglianza illegale non sarà tollerata. L’industria tecnologica deve affrontare una sfida cruciale. Bisogna comprendere come bilanciare la sicurezza con la protezione dei diritti. La vittoria di WhatsApp rappresenta un importante evoluzione. La lotta per la privacy, però, è tutt’altro che conclusa.