I CAPTCHA sono quei piccoli test che troviamo su molti siti web per dimostrare di essere umani. Quest’ultimi sono stati messi sotto accusa. Tutto è partito da uno studio dell’Università della California a Irvine. L’analisi ha coinvolto oltre 3.600 utenti in 13 mesi. Quest’ultimo ha rivelato come tali strumenti non solo falliscano nel loro obiettivo principale, fermare i bot, ma contribuiscano anche a preoccupazioni etiche ed ecologiche. Secondo la ricerca, i CAPTCHA consumano enormi quantità di tempo ed energie, con risultati discutibili.
I CAPTCHA: ecco cosa c’è che non va
I dati raccolti indicano che sono state sprecate 819 milioni di ore per risolverli. Per un valore stimato di 6,1 miliardi di dollari. Ciò in termini di tempo umano, se calcolato al salario minimo degli Stati Uniti. Oltre a ciò, il loro utilizzo ha comportato il consumo di 134 Petabyte di larghezza di banda internet. E ha generato oltre 7,5 milioni di libbre di CO2. In breve, non sono solo una seccatura per gli utenti, ma anche un problema per l’ambiente.
Un’altra problematicità riguarda la privacy. Lo studio ha messo in luce come i CAPTCHA siano progettati per raccogliere dati. In particolare, viene menzionato il sistema reCAPTCHA di Google. Quest’ultimo non si limita a verificare se l’utente è umano. Raccoglie informazioni attraverso i cookie di tracciamento. Contribuendo all’enorme economia dei dati digitali. Si stima che i dati ottenuti da reCAPTCHA abbiano generato un valore economico tra 8,75 e 32,3 miliardi di dollari. Con i cookie che da soli valgono circa 888 miliardi di dollari nel loro ciclo di vita.
I ricercatori accusano Google di mascherare un sistema di raccolta dati da soluzione di sicurezza. A tal proposito, suggeriscono di abbandonare i CAPTCHA. Nonostante ciò, due anni dopo la pubblicazione dello studio i CAPTCHA continuano a essere diffusi. In ogni caso, quanto presentato solleva domande cruciali sulla privacy online e sull’etica della raccolta dei dati.