Il dibattito sugli strumenti di cyberspionaggio si riaccende dopo le recenti rivelazioni su Graphite, il software sviluppato dalla società israeliana Paragon Solutions. L’azienda, già nota per aver fornito la sua tecnologia a governi democratici, si trova ora al centro di un caso che coinvolge giornalisti, attivisti e membri della società civile.
A fine gennaio, WhatsApp ha denunciato che almeno 90 utenti sono stati presi di mira dal software spia di Paragonnel corso del 2024. Tra le vittime figurano figure di spicco come il giornalista Francesco Cancellato, l’attivista Luca Casarini e il libico Husam El Gomati, residente in Svezia. I loro telefoni sarebbero stati compromessi senza che ne fossero a conoscenza, esponendo dati sensibili a occhi indiscreti.
Trump e il possibile utilizzo dello spyware in USA
La vicenda assume una portata ancora più ampia considerando i precedenti negli Stati Uniti. L’FBI ottenne una licenza nel 2019 per i test di Pegasus, il famosissimo spyware sviluppato da NSO Group. I federali allo stesso tempo dichiarano di non averne mai fatto uso interno, anche se la preoccupazione cresce.
Trump ha più volte suggerito di voler usare il potere governativo contro i suoi oppositori politici, alimentando i timori di un possibile uso improprio della sorveglianza digitale. Graphite potrebbe quindi diventare un’arma nelle mani di chi cerca di monitorare senza limiti attività ritenute scomode.
Paragon risponde, ma i dubbi restano eccome
Un portavoce di Paragon Solutions ha dichiarato che l’azienda applica una politica di tolleranza zero per l’uso improprio del software. In passato, la società ha anche rescisso contratti con governi che non rispettavano le condizioni imposte. Tuttavia, il rischio di abuso resta elevato.
All’ONU hanno sottolineato che strumenti dannosi di questo genere possono corrispondere un grave pericolo anche per i diritti civili. Sarà dunque necessario aumentare l’attenzione, magari introducendo una regolamentazione più rigida in tal senso.