Northvolt fallisce. È una svolta tragica per l’industria europea delle batterie. L’azienda, considerata la risposta dell’Europa ai giganti asiatici, aveva raccolto enormi finanziamenti e promesse di sostegno. Eppure, la sua caduta sembra un avvertimento. Non basta puntare in alto, senza una strategia solida e un’esecuzione impeccabile non si va da nessuna parte. Le difficoltà produttive e i ritardi nello stabilimento svedese hanno eroso la fiducia di clienti e investitori. La notizia del ritiro dell’ordine di BMW, per un valore di 2 miliardi di euro, ha inferto un colpo devastante. Era chiaro da tempo che Northvolt non avrebbe mantenuto le promesse fatte. Ma poteva davvero essere evitato?
Il fallimento di Northvolt non è solo una questione aziendale, vale molto di più. È un segnale allarmante per tutta l’industria europea. L’obiettivo di competere con la Cina e la Corea del Sud appare oggi più lontano che mai. L’Europa, che si immaginava leader della transizione ecologica, si ritrova ora a riflettere su errori strategici
e scelte affrettate. La domanda è: l’Europa è davvero pronta a colmare il divario? O si rischia di rimanere indietro, lasciando il dominio ai colossi asiatici? Gli Stati Uniti hanno già dimostrato che una strategia coordinata può dare frutti, mentre l’Europa sembra ancora bloccata da burocrazie e divisioni interne.Il destino delle operazioni di Northvolt in Germania e negli Stati Uniti, che per ora non sono coinvolte nella bancarotta, apre spiragli di speranza. Ma sono abbastanza per salvare l’ambizione di una filiera europea delle batterie? O siamo già troppo lontani? Il fallimento di Northvolt potrebbe essere un’occasione per l’Europa di ripensare le sue priorità. Non bastano i sogni di indipendenza energetica. Servono investimenti mirati, politiche lungimiranti e una capacità produttiva all’altezza delle sfide globali. Il tempo stringe e l’Europa non può permettersi di restare indietro. Ce la farà a riprendersi in qualche modo?