L’indagine è stata condotta con l’utilizzo di un veicolo sommergibile della Caladan Oceanic. Quest’ultimo è in grado di esplorare le profondità oceaniche. Ciò usando telecamere ad alta definizione. Insieme ad avanzate tecniche di fotogrammetria. Tali strumenti hanno permesso di mappare con precisione la distribuzione dei rifiuti sul fondale. Ed anche di stimarne la densità. Su un totale di 167 oggetti esaminati, 148 sono rifiuti. Prevalentemente di plastica.
I dati raccolti evidenziano un predominio schiacciante della plastica tra i materiali rinvenuti. Con una percentuale dell’88%. Tra gli oggetti identificati vi sono sacchetti pesanti, buste
della spesa e bicchieri. Elementi tipici delle attività umane sia terrestri che marine. Le altre tipologie di rifiuti rinvenuti comprendono vetro (4,5%), carta e metallo (3%).In tale scenario, ciò che preoccupa maggiormente è la presenza di plastica in una delle zone più profonde del Mar Mediterraneo. Tale fenomeno è dovuto ai processi di biofouling e zavorramento. Attraverso quest’ultimi i rifiuti galleggianti si depositano sul fondo del mare. Inoltre, il Mediterraneo è un mare semi-chiuso, con connessioni limitate agli oceani. Ciò lo rende vulnerabile all’accumulo di rifiuti.
Le implicazioni di tale scoperta sono preoccupanti. Anche se non sono state osservate interazioni dirette tra i rifiuti e la fauna marina, la loro presenza modifica l’habitat naturale. Inoltre, può provocare effetti negativi a lungo termine ancora poco conosciuti. La necessità di interventi immediati è evidente. Diminuire l’uso della plastica e migliorare la gestione dei rifiuti. Insieme ad incentivare il riciclo sono azioni imprescindibili. Ciò al fine di prevenire ulteriori danni a un ecosistema già in crisi.