La disputa pubblica e legale tra il governo statunitense e Apple è ufficialmente finita dopo che l’FBI è riuscita a sbloccare l’iPhone usato da uno dei terroristi di San Bernardino. E senza l’aiuto di Cupertino. Il Dipartimento di Giustizia, infatti, dichiara di aver recuperato con successo i dati dal telefono cellulare e chiede alla Corte di abbandonare il richiamo di assistenza di Apple.
“La nostra decisione di concludere il contenzioso si è basata esclusivamente sul fatto che, con la recente assistenza di una terza parte, siamo ora in grado di sbloccare un iPhone senza compromettere alcuna informazione al telefono“, ha affermato il procuratore Eileen M. Decker in un dichiarazione, aggiungendo che l’indagine continuerà a garantire che tutte le prove relative a questo attacco terroristico vengano raccolte.
Fine del contenzioso
Il governo, d’altro canto, non rende noto quel che effettivamente è stato in grado di raccogliere dallo smartphone. Al momento, quindi, pare che l’agenzia governativa stia riesaminando le informazioni sul telefono, il tutto in linea con le procedure di indagine standard. Questo significa che, agli esperti dell’FBI, è occorsa circa una settimana per testare lo strumento e la tecnica adottata dalle terze parti – che rimangono ignote – che hanno permesso loro di decifrare il codice di accesso all’iPhone.
Per settimane, l’FBI aveva chiesto l’aiuto di Apple, anche quando si trovava già sulla strada giusta per indovinare il codice di accesso. Ma proprio la scorsa settimana, il governo aveva ventilato la notizia che una terza parte aveva mostrato all’agenzia investigativa un nuovo metodo che non richiede l’aiuto di Apple.
La risposta di Cupertino
In una recente dichiarazione, Cupertino aveva riconfermato che il governo non avrebbe mai dovuto tentare di costringere l’azienda a collaborare. “Fin dall’inizio, abbiamo contestato la domanda del FBI che Apple costruisse una backdoor su iPhone perché avremmo sbagliato e avrebbe costituito un pericoloso precedente”. E, commentando l’accaduto, continuava: “continueremo ad aiutare le forze dell’ordine con le loro indagini, come abbiamo fatto, e continueremo ad aumentare la sicurezza dei nostri prodotti, dato che le minacce e gli attacchi contro i nostri dati diventano più frequenti e più sofisticati”.
La fine di questa situazione di stallo legale significa anche che nessun precedente legale verrà imposto nell’ambito del potere del governo di costringere una società a collaborare in un’indagine, per esempio sviluppando un nuovo software speciale come nel caso di Apple. “Resta una priorità per il governo di garantire che l’applicazione della legge sia in grado di ottenere informazioni digitali fondamentali per proteggere la sicurezza nazionale e pubblica, sia con la collaborazione di parti interessate o attraverso il sistema giudiziario quando la cooperazione non riesce“, fanno sapere dal Dipartimento di Giustizia.
Apple non ha ancora commentato la riuscita e lo sviluppo della diatriba. Ma i suoi avvocati hanno già detto che, presto, potrebbe spingere il governo a rivelare lo strumento adottato da queste fatidiche terze parti. Insomma, il governo potrebbe aver sbloccato la password sul telefono per “armeggiare” con l’hardware, magari sfruttando un “oscuro difetto” nel software iPhone. Una scoperta di una possibile vulnerabilità del software che potrebbe costituire una delle ragioni principali per cui l’FBI deve mantenere segreto lo strumento adottato e riutilizzarlo in altre indagini che, magari, coinvolgono le vecchie versioni di iPhone (come l’iPhone 5C oggetto di questa diatriba).